Ospitiamo alcune considerazioni di Gianpiero Miosi, che racconta la sua visione del territorio. Stimoliamo, con questi suoi personali spunti di riflessione, il confronto con chi ha il coraggio di essere controcorrente.
La ricostruzione della Sicilia deve partire dal basso.
Dai piccoli borghi, abbandonati per decenni, che oggi rappresentano un enorme potenziale sprecato. Sono il cuore dell’identità siciliana: lì vivono le tradizioni, i paesaggi agricoli, la cultura materiale e la memoria collettiva.
Ma senza infrastrutture, senza lavoro, senza scuole né servizi sanitari, quei luoghi si stanno spegnendo. Silenziosamente.
Ricostruire non vuol dire restaurare. Significa ripensare completamente le città.
Serve una vera rivoluzione progettuale e culturale.
Riprogettare tutto. Sì, anche demolire ciò che non ha più senso e ricostruire da zero. Prima lo capiamo, meglio è.
Costruire città nuove, con strade larghe e accessibili, dove possano circolare camion, mezzi agricoli, trasporti pubblici.
Garantire accesso reale ai servizi essenziali: sanità, scuola, connessioni veloci, trasporti, spazi pubblici.
Puntare sull’autonomia energetica e idrica, basata su fonti rinnovabili. Basta dipendenze.
Valorizzare paesaggi e colture locali, riportando al centro l’agroecologia e la filiera corta.
Non si ricostruisce solo con il cemento, ma con idee chiare, visione, amore per il territorio e tolleranza zero verso la mediocrità politica.

Immaginate se un imprenditore comprasse decine di case abbandonate del vostro paese per costruirne di nuove, efficienti, vivibili.
Immaginate cosa significherebbe ricostruire interi paesi da zero: il lavoro si sbloccherebbe all’istante.
L’economia siciliana ripartirebbe proprio da lì.
Migliaia di giovani che oggi sognano di andarsene resterebbero.
E con loro ingegneri, architetti, operai edili, giardinieri, agronomi, fabbri, falegnami, negozianti, ristoratori, ecc ecc ecc.
Immaginate una Sicilia che torna a produrre ricchezza vera, diffusa.
Improvvisamente diventiamo tutti più ricchi.
Ma se pensate che si possa fare sviluppo nei borghi pensati e costruiti in altre epoche, con logiche preindustriali e strade strette dove non passa nemmeno un’ambulanza…
vi sbagliate di grosso.
Nelle stradine anguste di queste foto chi aprirebbe mai un’attività? Chi ci andrebbe ad abitare?
Gli standard di vita sono cambiati.
La Sicilia non può restare inchiodata al passato.
E pensate che Palermo sia messa meglio? Anche quella è una città da ripensare da capo.
Ma almeno, partiamo dai borghi.O ci adattiamo ai tempi moderni — strade larghe a doppia e tripla corsia, parcheggi, autobus, scuole, ospedali, servizi — oppure moriamo.
Non è esagerazione.
È realismo.
E aggiungo: ricostruire tutto da zero, con criteri moderni ed efficienti, costa meno che tentare di rimettere in piedi ciò che è vecchio, fuori norma e non più appetibile.
Gianpiero Miosi
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