Gio. Lug 17th, 2025
Il luogo della sparatoria a Monreale (Palermo), 27 aprile 2025.ANSA/IGOR PETYX

La strage di Monreale, va chiamata per quel che è, senza sconti, senza troppe chiacchiere e senza giustificazioni o rivendicazioni sociali.

L’atteggiamento generale è quello di demonizzare o assolvere a seconda del punto di vista geometrico (destra o sinistra), l’autore o gli autori della strage, che hanno un un’unica differenza coi killer del passato: ci mettono più o meno la faccia.
Questo è forse il tratto che definisce il gap generazionale coi gruppi di fuoco della mafia degli anni ’70 , ’80, ’90, allora dediti alla ricerca dell’anonimato per agire indisturbati e nell’ombra.
Erano tempi in cui i social non esistevano ed essere un assassino della mafia non era esattamente una cosa di cui andare fieri, non un distintivo di cui fregiarsi se non nel contesto criminale in cui venivano riconosciuti i tuoi talenti.
Quando parliamo di decadenza dei valori (non lo abbiamo scoperto in questo secolo il mos maiorum, ne parlava già Sallustio nelle sue monografie, avendone ben donde essendone stato protagonista), parliamo forse proprio di questo: non c’è più vergogna nell’accettare il ruolo che si occupa nel contesto sociale, per quanto infimo esso sia.
Chi è andato a sparare a Monreale, pare dalle recenti ricostruzioni, lo abbia fatto con cognizione di causa, in una azione che potrebbe essere una spedizione punitiva mista ad un test di ingresso.
Ricostruendo il tessuto criminale nel quale gravitava, quello che potrebbe restare il capro espiatorio di tutta la vicenda, la formica Calvaruso (non a caso cito il ruolo di certi operai della banda della Magliana), non si definisce il contorno di una educanda, ma è un errore gravissimo se ci fermassimo a questo e non riconoscessimo in altri segnali un fenomeno di cultura mafiosa che è trasversale a tutti i rioni più o meno ghetto di tutte le città, in un rigurgito di globalità anni 2000, in cui per globalità si intendeva e sperava in altro.
Oggi la mafia fa affari a ben altre latitudini: l’arrivo dei fondi del PNRR, la nuove forme di appalto pubblico, come gli incarichi diretti fino ad una determinata soglia attraverso il MEPA, i progetti di finanza, gli accordi quadro, hanno reso nuovamente permeabili le pubbliche amministrazioni, lasciando per altro impreparati moltissimi degli inquirenti, incolpevolmente incapaci di porre e porsi le giuste domande, tanto che la mafia in questi meandri non la riconosce più nessuno nonostante gli allarmi, nemmeno i protagonisti che si pensano solo imprenditori molto smart (più o meno pretestuosamente).



Poi c’è la mafia che ha continuato un altro tipo di controllo del territorio dove ha trovato humus fertile, nel vuoto del nuovo tessuto sociale, pronto come non mai a farsi contagiare (ma avrei scritto più volentieri infettare) da certe sotto culture.
E qui ha ragione certa sinistra: c’è una deriva che è prima culturale e poi sociale, se ai nostri giovani diamo un’unica realtà possibile, quella del pascolo tra birra, cocktail e droga (soprattutto ai minori).


Di contro la ragione finisce quando poi, piuttosto che cercare soluzioni sul territorio le cerchiamo nel 1945 o a Gaza o in qualunque altra cosa (giustissima) basta che sia lontanissima dalla realtà e da interventi fattivi, e che abbia una direzione Kulturale elitaria e quindi, per antonomasia, incomprensibile a molti, tanto più è incomprensibile tanto più è di sinistra.


Nemmeno si possono pensare però coprifuoco e città militarizzate, limitazione di qualsivoglia liberta di espressione anche del proprio dissenso o del proprio modo di essere, in muro contro muro che riteniamo controproducente, oltre che innaturale.
Ma se cercassimo intanto di ristabilire il concetto di legalità, trasparenza e diritto al diritto?
E se cominciassimo intanto con l’esempio nell’azione amministrativa che sia garante di tutti e non solo delle consorterie, delle lobby e dei potentati che fomentano con queste relazioni, quel sostrato perfetto alla clientela e a fenomeni come il voto di scambio talmente evidente e palese da essere a stento riconosciuto come male sociale divenendo anzi un pregio di certe amministrazioni locali e non.

Manca la targa e di conseguenza mancherà l’assicurazione, in compenso c’è un piccolo cagnolino

E se provassimo a ristabilire certe legalità, dal codice della strada, al rispetto delle norme fiscali di certi esercizi, alla liberazione di suolo pubblico e privato indebitamente occupato, alle norme che regolamentano i decibel di impianti stereo, nelle macchine, nelle case, nei locali, a creare zone virtuose dove i nostri ragazzi possano socializzare senza alterazioni di sorta o con le alterazioni che preferiscono, scelte con consapevolezza e non per trend, con la cura e l’attenzione da parte di chi si sostenta grazie al loro portafoglio?
E se riqualificassimo le zone che ne hanno bisogno per uscire dal degrado e dall’emarginazione piuttosto che quelle dove i palazzi e i terreni degli amici acquistano valore?
E se cominciassimo anche qui, da Bagheria, ci sarebbero cose che avete riconosciuto tra quelle fattibili oppure vale sempre la frase: e va be’, che ci fa? Devono pur lavorare?

La mafia va combattuta. Ci sono molti strumenti per farlo, ma il primo in assoluto è il coraggio di riconoscerla quando ce la troviamo davanti e non perdere tempo a fare finta di niente.

A Monreale è stata mafia, per il contesto in cui si muove uno degli assassini, per la cultura che ha generato la strage e per il contorno che stanno delineando le indagini.

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Di Ignazio Soresi

Classe 1969. Si forma dai gesuiti a Palermo. Studia Economia e Commercio, Scienze Politiche, Scienze Biologiche ed in età matura, Beni Culturali ad indirizzo Storico/archeologico. Opera in ambito turistico. Ha collaborato con diverse testate.